Lavorare stanca, ma…
Lavorare stanca, ma non lavorare uccide! di Giuseppe Capuano (Pubbl. 23/02/2017)
“Precarietà economica e tutela del lavoro”, questo il tema dell’incontro organizzato, sabato 18 febbraio, dall’associazione Scuola di Pace nella sua sede di Via Foria a Napoli nell’ambito degli appuntamenti di quest’anno ispirati a“Muri e Ponti. Paure e speranze del nostro tempo”. E’ toccato a Claudio Paravati, giovane direttore della rivista Confronti, testata erede dell’esperienza di Com-nuovi tempi, che per anni ha dato voce al dissenso cattolico ed oggi impegnata sul fronte del dialogo interculturale ed interreligioso, analizzare lo spinoso tema della precarietà giovanile. “Confrontarmi con voi sulla precarietà del lavoro oggi”, ha esordito, “mi costringe a ripensare al mio non troppo lontano passato. Finita la borsa di studio all’università di Verona, iniziai a cercar lavoro, uno qualsiasi, per continuare i miei studi. Mi son ritrovato a fare il venditore. Una giornata di prova su strada per convincere pensionati e casalinghe a cambiare il proprio contratto di fornitura elettrica, qualcosa molto simile ad una truffa legalizzata. La cosa assurda è che non si è mai parlato di soldi, di stipendio, di orari, insomma di quel minimo di cose che trasformano la fatica in un lavoro. Io successivamente sono riuscito a trovare strade diverse, ma quanti giovani continuano a rimanere in questa assurda situazione?”. Paravati ha parlato ad una platea eterogenea, fatta di dirigenti sindacali di “lungo corso”, di militanti di organizzazioni politiche della sinistra, di immigrati che frequentano i corsi d’italiano, di appartenenti alle chiese evangeliche napoletane, di rappresentanti della storica Comunità del Cassano e dell’Associazione pacifista “Claudio Miccoli”, affrontando le scottanti questioni del lavoro e delle sue tutele, portando come testimonianza la sua personale esperienza. “Il mondo della produzione e della distribuzione di beni è profondamente cambiato negli ultimi decenni”. Ha più volte rimarcato.“Nessuno vuole, o potrebbe, tornare indietro. Mio padre ha incominciato a lavorare a 8 anni, in panetteria. Una vita durissima. Ma il suo percorso di lavoro si è ricomposto, ha avuto una evoluzione. Ciò che ritengo insopportabile oggi è questa dimensione claustrofobica che avvolge le vite dei giovani. Il precariato, l’assenza di tutele nel lavoro, l’impossibilità di pensare, progettare il proprio futuro, vivere il lavoro come un iter normale, non una condanna, distrugge non solo le persone ma l’intera società. Si è soli e il rischio di cadere nella disperazione è sempre più alto”. La sua appassionante relazione è stata ricca di riferimenti a fatti di cronaca. Ha letto passi della lettera di Michele, precario morto suicida. “Che un giovane di trent’anni, di un Paese che è tra le sette maggiori potenze industriali, scriva “ho vissuto male” non può essere un problema solo suo, è un dramma per tutta la società”. Stimolati dalla sua riflessione, vari interventi dalla sala hanno provato a formulare ipotesi per cambiare lo stato delle cose. Qualcuno ha esortato i giovani a reagire, a prendere parte alla vita politica e democratica, ad uscire dall’isolamento personale. Altri hanno segnalato la necessità di ricostruire un rapporto tra vecchie e nuove esperienze di lotta. Vitktoriya Dorohokupets, ucraina, studentessa ma anche collaboratrice dei corsi di italiano e promotrice essa stessa di una associazione di immigrati: “Ho scelto di emigrare in Italia, e di venire a Napoli, non solo per cercare lavoro ma per aprire nuovi orizzonti a mio figlio. Io voglio sentirmi donna, persona libera di scegliere anche il paese dove voler vivere. Il lavoro è importante,mi consente di vivere,ma non può rubarsi tutta la mia vita. Spesso ho difficoltà a comunicare con i miei connazionali concentrati esclusivamente sul bisogno di lavorare, di guadagnare, di mandare i soldi a casa. Lo comprendo,è una necessità, ma il lavoro deve essere considerato uno strumento non un obiettivo”. Le ha fatto eco lo stesso Paravati: “Ho la fortuna di poter viaggiare molto e i miei incontri all’estero mi offrono l’opportunità di conoscere tante realtà diverse. Sono stato di recente in Albania. Ho visitato una fabbrica che occupa ben 1000 operai che producono per le grandi aziende italiane, quelle della moda. L’orario medio è di 12 ore al giorno e il salario è di 100 euro al mese. Non è più possibile pensare di affrontare la questione del lavoro, della sua precarizzazione, con politiche parziali, regionali. Non intervenire globalmente con proposte, azioni aperte e innovative, non solo è inefficace ma anche sbagliato”. Ha poi citato il rapporto Censis. “Dai dati statistici emerge che il numero di immigrati, assurdamente suddivisi tra economici e politici, è pari al numero dei giovani italiani qualificati che lasciano ogni anno il nostro paese alla ricerca di lavoro. Si parla, a volte si urla, contro le politiche della Comunità Europea, ma si dimentica che l’Italia non riesce ad utilizzare i fondi messi a disposizione per lo sviluppo e la crescita perché in molte istituzioni preposte, nei punti chiave, ci sono incompetenti o corrotti. Se si assumessero giovani esperti, aperti, innovativi, invece di lasciarli partire, le cose potrebbero cambiare”. Gli interessanti spunti offerti hanno trovato una delle più efficaci sintesi nell’intervento di Anna Maffia. “La drammatica situazione in cui versano le nuove generazioni è anche il frutto di un inganno. Siamo stati ingannati dallo Stato, dalla Scuola, dalle Istituzioni, da tanti politici. In molti siamo stati formati per svolgere attività e professioni inesistenti o non riconosciute legalmente. Io sono laureata in Scienze Ambientali ma la mia laurea non mi consente di fare molto. Oggi mi sono dovuta reinventare un lavoro. Il mondo è cambiato è dobbiamo essere creativi, innovativi più di quanto stia facendo il mercato del lavoro. Il patto generazionale? Nei fatti esiste già: chi sovvenziona, quando ciò è possibile, la nostra vita e i nostri tentativi di riscatto se non le nostre famiglie visto che non c’è banca, finanziamento pubblico aperto a chi non ha gli agganci giusti? Ed ha concluso: “La paralisi è proprio in quelle Istituzioni che dovrebbero aiutarci. Tutto questo non fa che aumentare differenze e diseguaglianze”. Che dire? Quella di sabato è stata una bella esperienza. Ricca di stimoli e di suggestioni concrete. Una discussione dipanatasi senza pregiudizi e senza barriere, oltre i “recinti” ed i “muri” che stanno facendo riaffiorare i fantasmi di un passato che credevamo sepolto. Uno spaccato del mondo che vorremmo… e non solo per una sera!
Commento di Saverio Castellone
L’articolo relativo all’incontro sul lavoro del 18/2/2017 è interessante perché da molto tempo i temi del disagio sociale sono considerati “ideologici” da comunisti falliti. Ritengo, invece, che tra le righe dell’articolo, si inizia a discutere dei temi del lavoro e della giustizia sociale a livello internazionale. Bisogna capire che la globalizzazione voluta negli anni ’80 da partiti conservatori, soprattutto dei Paesi anglofoni, supportati dal mondo finanziario e da economisti a questo asserviti (vedi la scuola di Chicago) ha portato al disastro socio-economico. Oggi i rappresentanti degli stessi partiti politici fanno leva sul populismo nazionalista e la chiusura delle frontiere. Dobbiamo far capire, invece, che la colpe delle politiche a ribasso delle tutele è figlia delle loro politiche liberiste e di destra seguite da una certa sinistra “riformista”, definita “democratica” solo perché ha scimmiottato questo pensiero (in Italia vedi Pacchetti Treu durante il governo Prodi). Noi dobbiamo opporci a livello internazionale portando esperienze locali che valorizzino il lavoro creativo nel rispetto dei popoli ed etnie. Vorrei continuare ma il discorso è lungo…..Saverio, non sono marxista, credo nel Vangelo e nessuna Chiesa mi rappresenta
Fonte: http://www.zonagrigia.it/politicaeconomia/eco23022017