Sul conflitto in corso tra Palestinesi e Israeliani di Giovanni Lamagna
Diario politico 325 15 maggio 2021
Sul conflitto in corso tra Palestinesi e Israeliani
Quanto sta succedendo in questi giorni in Medio-Oriente, come tutti sappiamo, ha radici antiche, è cioè il frutto avvelenato di una pianta nata e cresciuta male.
Nessuno poteva certo illudersi che la trasmigrazione di quote crescenti di Ebrei nei territori arabi della Palestina, cominciata già agli inizi del 1900 e consolidatasi alla fine della II guerra mondiale, fino al riconoscimento da parte delle Nazioni Unite nel maggio del 1948 del nuovo Stato di Israele, non avrebbe suscitato le reazioni negative, anzi decisamente ostili, innanzitutto del popolo palestinese – che quei territori li occupava oramai dai tempi lontani della diaspora ebraica – e poi dei paesi arabi circostanti, che dalla nascita del nuovo Stato ebraico si sentivano (a torto o a ragione) minacciati.
La decisione delle maggiori potenze mondiali di favorire nel 1948 la nascita del nuovo Stato d’Israele ha, dunque, nei fatti e oggettivamente installato in quella zona una pericolosissima polveriera, pronta ad esplodere in ogni momento; e, infatti, è esplosa più volte e periodicamente, a volte in maniera micidiale, dal 1948 ad oggi.
Pertanto la responsabilità maggiore di quanto sta succedendo in questi giorni appartiene alle maggiori potenze mondiali, in primis a quelle occidentali, che prima non hanno saputo prevedere quanto poteva succedere e poi non hanno saputo impedire, bloccare ab origine quanto di fatto poi è accaduto e accade ancora.
A questo punto realismo vorrebbe che entrambe le parti in conflitto prendessero atto che l’unica soluzione possibile per risolvere il problema è quella che fu già sancita dalla risoluzione delle Nazioni Unite, la n. 181 del 1947, che prevedeva la costituzione di due Stati indipendenti, uno arabo e l’altro ebraico.
A questa soluzione si sono però sempre opposti e ancora oggi si oppongono due (diversi, ma speculari) integralismi.
Il primo è quello ebraico, che pretende di estendere le sue zone di influenza anche nei territori arabi e mira nei fatti alla costituzione di un unico Stato, quello ebraico, di cui la popolazione palestinese entrerebbe a far parte, come pura minoranza etnica, tra l’altro discriminata economicamente, socialmente e politicamente.
L’altro estremismo è quello arabo, che ancora oggi non riconosce il diritto alla esistenza di uno Stato ebraico autonomo e rivendica un (oramai impossibile) ritorno ad uno stato di cose ante quam; tra l’altro in una situazione nella quale Israele può disporre di uno degli eserciti più potenti del mondo, mentre i Palestinesi dispongono di scarsissimi mezzi militari.
A causa di questi due opposti integralismi ed estremismi è venuto a crearsi un vero e proprio nodo gordiano, che adesso è diventato difficilissimo sbrogliare.
A me sembra che, a questo punto, una via d’uscita possibile da questa tragica situazione la possa trovare solo il popolo palestinese; paradossalmente: ne sono pienamente consapevole; e (beninteso!) senza che questo suoni minimamente come un insulto alle tante e inenarrabili sofferenze che in questi ultimi decenni tale popolo ha dovuto sopportare.
Come? Prendendo atto di tre cose essenziali: 1) le lancette della Storia non possono oramai essere riportate all’indietro; 2) i rapporti di forza, innanzitutto quelli economici e poi quelli militari, nei confronti dell’avversario israeliano sono immensamente e irrecuperabilmente sfavorevoli; 3) il popolo palestinese potrà far valere le sue sacrosante ragioni, di fronte non solo alla comunità internazionale ma perfino dinanzi ai settori più illuminati e meno oltranzisti (e ce ne sono) di quella ebraica, solo se rinuncerà agli strumenti di guerra (tra l’altro assolutamente sproporzionati e inadeguati nel confronto con quelli avversari) ed alle azioni militari o terroristiche, optando per forme di resistenza attiva e nonviolenta, sul modello di quelle realizzate (a suo tempo e con indubbio successo) dagli indiani al seguito del Mahatma Gandhi e dai neri sudafricani al seguito di Nelson Mandela.
Alternative diverse da questa, che non vogliano avere – come esito inevitabile e scontato – uno stato cronico e permanente di guerra, che però prima o poi sfocerebbe nello sterminio totale del popolo Palestinese, io non ne vedo.
E’ arrivato il momento che i Palestinesi tutti lo comprendano fino in fondo e che la loro maggioranza riesca ad emarginare e rendere inoffensivi definitivamente i gruppi più estremisti, che ancora si illudono che il problema oramai secolare del conflitto con Israele possa essere risolto con la guerra o addirittura con le ritorsioni e le azioni terroristiche.
Giovanni Lamagna
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