LA TRACCIA DI UN NUOVO INIZIO
Noemi Orabona, insegnante di Italiano L2
Giugno 2022
Mi colpiscono sempre i racconti delle prime volte alla Scuola di italiano della Scuola di Pace. Capita spesso di ascoltarli alle feste, a Natale, a Pasqua, nelle parole di studenti, volontari, insegnanti o tirocinanti, che si raccontano mentre assaggiano un dolce tipico o sorseggiano un po’ di tè caldo. Il filo rosso di queste storie è l’opportunità: tutti, anche se in modi e per ragioni differenti, quando varcano la soglia di quel cancello verde su via Foria, trovano la traccia di un nuovo inizio. L’anno scorso è stata una prima volta un po’ per tutti, compresi coloro che vivono e nutrono la scuola di italiano da molti anni. L’avvio delle lezioni del nuovo anno scolastico, in presenza, con un numero di studenti ridotto a causa delle restrizioni per la pandemia, ha fatto emergere la necessità di costruire nuovi equilibri, di creare nuove soluzioni e didattiche e organizzative. La sfida consisteva nel trovare un compromesso tra la sicurezza e il principio fondativo della scuola, quello di non lasciare nessuno indietro.
“La blu va spostata nella sala della musica”, “serve un altro docente per la rossa”, “la gialla-uno sta bene in cucina”, e così via… i preparativi tra settembre e ottobre sono stati frenetici, il sistema di incastri tra le aule e gli orari è stato scritto e riscritto più volte. Poi sono arrivati gli studenti, ad occupare di nuovo quelle sedie, a dare un volto (tanti volti) alle classi che prima esistevano solo nel nome stampato su una tabella. Uno dopo l’altro, hanno preso posto e hanno animato la scuola con le loro voci e le loro storie. Dopo un inizio un po’ lento, la classe blu delle 16:00 si è riempita sempre di più, di giorno in giorno. Molti studenti sono arrivati dall’Afghanistan, in fuga dalla crisi apertasi in seguito alla ritirata dell’esercito statunitense e all’avanzata dei talebani. Guardare in tv quelle immagini di disperazione e paura e ritrovarle negli occhi degli studenti non ha lasciato indifferente nessuno. La peculiarità delle classi blu, che quest’anno è stata ancor più evidente, è quella del continuo ricambio di studenti che vanno, vengono e a volte ritornano. Un altro tratto distintivo della classe blu, il primissimo gradino nell’apprendimento dell’italiano, è la difficoltà iniziale: il periodo di silenzio degli alunni è spesso molto lungo. In questo, i nostri alunni sono stati fortunati nell’incontrate un’insegnante speciale: parlo di Giacinta, che con la sua fantasia, la sua allegria e il suo impegno è riuscita a vincere anche le ritrosie più forti. Giacinta ha una rana di pezza, realizzata con le sue mani, che si chiama Nina. Quando la lancia a uno studente, lui deve parlare: non ho mai visto nessuno star zitto, con Nina tra le mani. Qualcuno la tormentava nervosamente mentre provava a inanellare una frase, qualcun’altro la lanciava velocemente a un compagno, come se fosse una patata bollente. Con Nina si realizzava concretamente il principio per cui la scuola di pace non esclude nessuno. Grazie a lei, ai giochi, alle risate che hanno accompagnato le lezioni, ogni studente ha vinto le sue resistenze e ha potuto lanciarsi in quella lunga avventura che è l’apprendimento di una nuova lingua.
La classe rossa che ho trovato quest’anno è stata piuttosto singolare. Dal primo giorno, fin quasi alla fine dell’anno, è stata una classe interamente femminile. Le provenienze geografiche erano piuttosto eterogenee, cosa che ha fornito un valore aggiunto allo scambio interculturale che si è instaurato tra le alunne. Ricordo con molto affetto i pomeriggi piovosi del tardo autunno in cui esploravamo il lessico della cucina, della famiglia, della città. Purtroppo, dopo Natale, la classe ha cominciato a disgregarsi per le assenze intermittenti delle studentesse. La mia esperienza con loro si è conclusa in anticipo, quando sono passata alla classe bianca. Lì ho trovato un clima molto sereno e familiare, le studentesse si conoscevano bene, erano in sintonia. Le lezioni scorrevano tra verbi al congiuntivo e al condizionale, che servivano a dar forma alle emozioni e ai pensieri delle alunne che, di lì a poco, avrebbero sostenuto l’esame CILS per il conseguimento della certificazione di livello B2. I preparativi non fervevano soltanto nella classe bianca: l’ansia da esame si tagliava a fette anche nella gialla 2, in cui si studiava per ottenere la certificazione “A2 integrazione”. Quest’ultimo gruppo è partito con un numero esiguo di partecipanti: soltanto due alunni, a cui poi si sono aggiunti gli altri. Tra i banchi della gialla 2 si è piano piano costruito un legame di profondo rispetto e amicizia, che si è consolidato anche grazie alle gite fuori porta a cui gli studenti partecipavano con piacere. Questo, infatti, è stato anche l’anno in cui, dopo le restrizioni della pandemia, la Scuola di italiano della Scuola di Pace ha ripreso i momenti didattici fuori porta. Le gite a Palazzo Zevallos, a San Martino, all’Orto Botanico, al Museo di Capodimonte, al MANN, hanno regalato ai nostri studenti delle occasioni irripetibili di apprendimento, svago, cultura e comunità. Lo studio della lingua non può prescindere dall’incontro col territorio e con la cultura locale, che arricchiscono e motivano le esperienze maturate in classe. La partecipazione è stata attiva, l’interesse degli studenti ha superato le aspettative. Mentre percorrevo le sale del MANN insieme ai ragazzi della gialla 2, selezionavo accuratamente le parole più semplici per dar loro più informazioni possibili sulle straordinarie opere d’arte che ci circondavano. È stata un’esperienza formativa senza eguali, non solo per gli studenti, ma anche per chi li accompagnava. Grazie al lavoro straordinario delle nostre guide, noi insegnanti abbiamo potuto vivere insieme agli studenti momenti didattici fuori porta completi e appaganti. Soprattutto, è stato emozionante riappropriarsi del patrimonio artistico e paesaggistico della città in cui viviamo, dopo le restrizioni della pandemia. Anche questa è stata una riscoperta: abbiamo vissuto le esperienze con occhi diversi, di nuovo come se fosse la prima volta, e gli studenti che non avevano mai visto quei luoghi hanno respirato e ricambiato lo stesso entusiasmo.
Ho aperto questo articolo parlando delle feste alla scuola di italiano, e non l’ho fatto per caso. All’inizio dello scorso dicembre, quando in città si respirava più che mai l’aria natalizia, a scuola è emersa la voglia di festeggiare il Natale insieme, studenti, docenti, volontari e tirocinanti. A prima vista, l’impresa sembrava impossibile: non potevamo riunire tanti invitati in un luogo chiuso, non potevamo cucinare insieme, perché sarebbe stato troppo rischioso dal punto di vista del contagio. Eppure, se c’è una cosa che ho imparato sulla Scuola di Pace, è che riesce a sciogliere anche i nodi più complessi. Alla fine, abbiamo festeggiato il Natale in questo modo: invece che riunirci tutti nello stesso momento, ci siamo alternati in tre turni diversi. Tre piccole feste nello stesso pomeriggio, nella grande sala di culto della Chiesa battista che ci ospita, con cibo e piatti tipici portati da casa, mascherine e, soprattutto, i brani cantati e suonati dal neonato Gruppo musica formato dai nostri studenti. L’idea mi è piaciuta da subito, anch’io come gli altri tenevo molto a chiudere l’anno solare, prima della pausa natalizia, insieme alle persone con cui condividevo il percorso scolastico alla scuola di italiano. Convertire la difficoltà in opportunità era una prova importante, che ha consolidato lo spirito e l’iniziativa che animano la scuola di italiano. Il successo dei festeggiamenti natalizi ci ha mostrato che una pandemia non può e non deve privarci della voglia di stare insieme e celebrare le feste e l’amicizia. E così abbiamo vissuto tutti gli altri momenti di festa, fino alla fine dell’anno: sempre meno mascherine, sempre più persone, via via che il ritorno alla normalità e il clima mite lo consentivano.
La sfida più complessa di quest’anno scolastico è stata sicuramente la gestione del flusso di studentesse e studenti in fuga dalla guerra in Ucraina. La scuola ha dovuto ridisegnare il suo equilibrio di orari e classi, e ha potuto farlo grazie alla partecipazione dei docenti che sono intervenuti a dare una mano. Ancora una volta abbiamo visto la guerra negli occhi di persone che, una manciata di giorni prima, vivevano le loro vite in serenità. Le studentesse, molte delle quali giovanissime, ci sono parse subito velocissime nell’acquisizione linguistica, attitudine che completavano con un serio impegno. Ricordo una di loro, in particolare. Dal primo giorno mi è sembrata scontrosa, ritrosa, si rifiutava di partecipare alle attività didattiche e spesso interrompeva le lezioni iniziando a parlare in ucraino con i compagni, scelta che, di fatto, escludeva gli insegnanti. Conoscendola un po’, ci è parso chiaro che lei non accettasse la sua nuova vita, in un Paese lontano, costretta a fare cose che non aveva scelto. E perché mai avrebbe dovuto? La piccola vittoria della Scuola di italiano è stata il suo ritorno, tutte le settimane, e la dolcezza che piano piano ha rotto la sua chiusura.
Questo è stato il mio primo anno alla scuola di italiano. Ho conosciuto docenti in gamba, empatici e infaticabili, coordinati da un presidente, Corrado, che si è fatto in quattro per la formazione e il benessere di tutte le sue studentesse e i suoi studenti. Ho scoperto un luogo dove il sogno di una didattica democratica ed equa esce dalla retorica di discorsi ampollosi e si materializza nella vita di tutti i giorni. Il docente ha modo di potersi dedicare a pieno all’acquisizione linguistica degli alunni, lo studente ha l’opportunità di imparare la lingua seconda in un contesto accogliente, familiare, che ha a cuore i suoi bisogni e il raggiungimento del suo progetto di vita. Si chiude così l’anno della ripartenza, nella consapevolezza che la scuola di italiano non si è mai fermata veramente, e che ci sarà sempre un mondo migliore da costruire finché ci saranno gruppetti di studenti che varcano questi cancelli con il loro librone giallo “Nuovi italiani” stretto sul petto.